La fotografia è una traduzione linguistica dei miei disegni su carta di occhi truccati, delle mie ricerche identitarie e iconografiche, dell’osservazione antropologica circa la culturalizzazione sociale dei generi e della mia tesi di laurea sulla costruzione dell’alterità.
Il linguaggio fotografico è un punto d’arrivo; è quel tutto fatto di psicologia, antropologia culturale, trucco, teatro.
Ho dovuto sospendere parte del mio percorso “razionale” di vita per nutrire le mie rappresentazioni di emotività.
E’ stato ed è un percorso consapevole di dismorfofobia il motore della mia avidità fotografica.
Sulla base dei silenzi osservativi e della comunicazione non verbale sto tendando di impormi un linguaggio fotografico fatto di non-fotografia. L’andare al di là dell’immagine in sè, il non bearsi del proprio riflesso e la messa in atto di drammi e traumi, segnano quel punto d’arrivo che ha assunto il valore di un inizio fotografico.
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